Crocefisso a scuola: “Non viola i diritti umani”

Il tema del crocefisso a scuola è senza dubbio un “tema caldo” negli ultimi anni. C’è chi sostiene che esporre il crocifisso nella scuola sia una violazione della libertà religiosa e chi invece, appurato che la maggior parte della popolazione cristiana si riconosce nel cattolicesimo, ritiene che sia giusto esporlo.

Un’importante pronuncia in merito è stata quella della Grande Camera della Corte Europea per i diritti dell’uomo, che ha dato ragione all’Italia dopo una causa intentata da cittadini italiani di origine finlandese, i Lautsi.

Nella causa in questione, Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, riteneva che la presenza della croce nelle aule scolastiche frequentate dai figli fosse un’ingerenza rispetto alla libertà di pensiero, di religione, di convenzione.

La Lautsi, non ottenendo la rimozione della croce dalla scuola, ricorse al TAR del Veneto il quale sollevò la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte Costituzionale, che la rigettò sostenendo che non poteva pronunciare alcuna sentenza in materia.

Così il TAR rigettò la domanda della signora Lautsi, argomentando che il crocifisso è considerato simbolo di un’evoluzione storica-culturale e “dell’identità del nostro popolo” ma anche simbolo dei “valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa”.

Il 27 luglio del 2006 la Lautsi ha fatto approdare la causa di fronte alla CEDU portando a sostegno della tesi l’art.9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La prima sentenza della CEDU del 3 novembre 2009 aveva dato ragione alla ricorrente, ma il governo italiano aveva chiesto il rinvio alla Grande Chambre della CEDU, ritenendo che la sentenza CEDU del 2009 fosse una violazione della religiosità non solo individuale ma “collettiva”. La Grande Chambre aveva argomentato riconoscendo che il crocifisso fosse un simbolo religioso, ma negando che esso potesse esercitare “un’influenza sugli alunni” come invece riteneva la Lautsi.

Pertanto la presenza di crocifissi nelle aule scolastiche non viola i diritti dell’uomo, secondo la Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Si è trattata di una pronuncia importante, posto che – come nella common law – il diritto della CEDU si basa sui precedenti e a quel momento non c’era alcun pronunciamento in materia. Per questo motivo, ed attesa la rilevanza del tema, l’Italia ha chiesto che ad occuparsi della tematica fosse la Grande Camera in udienza pubblica.

Dieci Paesi hanno depositato memorie a favore dell’Italia, fra cui Lituania, San Marino, Malta: tutti Paesi che ritenevano che l’esposizione del crocifisso fosse inserita in una tradizione religiosa dalla quale non si può prescindere, e quindi – preoccupati dalla possibilità di una sentenza contro l’Italia che avrebbe fatto scuola – si sono uniti al Belpaese nel ricorso.

La questione si è spostata dal tema del crocifisso in aula al tema dell’esposizione di simboli religiosi in un luogo pubblico. Addirittura a sostegno dell’Italia si mosse un giurista ebreo osservante che intervenne alla Corte con la kippah in testa, come a rimarcare che non si stava difendendo il crocifisso in quanto tale, ma uno spazio pubblico della religione, che non può essere semplicemente “messa da parte”, non si può fingere che non esista quando è alla base della tradizione di un popolo.